Le microplastiche? Possono finire anche nel piatto
Microplastiche, le ricerche lo confermano: sono troppe e sono ovunque. Negli scorsi decenni la plastica ha certamente consentito di rendere fruibili, a basso costo, moltissimi beni e servizi. D’altro canto ne è stata registrata una produzione eccessiva (specie quelle monouso) e una cattiva gestione della loro sorte finale. Una gran percentuale della plastica prodotta, infatti, anche quando tecnicamente riciclabile, non riesce ad essere intercettata dalle filiere della raccolta differenziata e finisce in discarica o, peggio, dispersa nell’ambente. Va poi affrontato il gravissimo problema della dispersione in mare delle microplastiche provenienti da diverse fonti, a partire da quelle che sono frutto della disintegrazione di oggetti di plastica più grandi a quelle che si trovano nei prodotti di cosmesi, dal lavaggio di alcune fibre sintetiche fino a quelle presenti in vernici o negli pneumatici.
Dopo aver riscontrato il verificarsi, sempre maggiore, di casi di pesci e uccelli nei cui stomaci erano stati rinvenuti numerosi frammenti di microplastiche, ci si è iniziati ad interrogare sulle cause che consentono a questi elementi di entrare nella catena alimentare fino ad arrivare ai nostri piatti. Le particelle di microplastica e di nanoplastica presenti negli alimenti sono da anni inserite tra le potenziali future minacce alla sicurezza alimentare dalla rete per lo scambio sui rischi emergenti dell’European Food Safety Autorithy. Purtroppo, ad oggi, i dati in nostro possesso non sono ancora sufficienti a spiegare che cosa comporterà l’ingerimento continuo e prolungato di microplastiche. È tuttavia fondamentale approfondire la problematica e impegnarsi per ridurre la concentrazione di tali sostanze.
Ricerche su alimenti e bevande
Due recenti ricerche, rispettivamente di Altroconsumo e del Salvagente, hanno indagato sulla presenza di microplastiche nei cibi che portiamo in tavola, con risultati da lasciare allibiti: secondo la ricerca realizzata in ambito internazionale, alla quale ha preso parte Altroconsumo, analizzando 102 campioni tra cozze, gamberi e sale ad uso alimentare, nel 70% degli esemplari studiati è stata riscontrata la presenza di microplastiche. Ciò accade non solo negli alimenti, ma anche in alcune bevande: la rivista Il Salvagente, attraverso l’analisi nei laboratori del gruppo Maurizi, ha esaminato alcune tra le più vendute bevande industriali e in tutte e 18 le bottiglie esaminate – che spaziavano da tè, a cole, gassose, aranciate e acque toniche – vi erano particelle di microplastiche, seppur con valori molto diversi (da un minimo di 0,89 mpp/l (microparticelle per litro) ad un massimo di 18,89 mpp/l).
Microplastiche e salute
Le microplastiche che si ingeriscono attraverso i diversi cibi possono avere effetti negativi sulla nostra salute? Ad oggi, è fondamentale sottolinearlo, non vi sono studi sufficienti in materia, ma di certo adottare un approccio precauzionale, che spinga a ridurre le plastiche monouso in favore di soluzioni con minori packaging, non potrà che far bene all’ambiente.
La riduzione della plastica monouso
Sulla strada di una drastica riduzione si pone, ad esempio, il percorso delineato dal Parlamento Europeo, che ha recentemente previsto che in Europa, nei prossimi anni, vengano vietati una serie di beni di consumo, prodotti in plastica monouso, che più frequentemente vengono ritrovati in mare (dalle stoviglie ai contenitori take away). La normativa UE, è importante chiarirlo, non è ancora legge. Il Parlamento Europeo avvierà i negoziati con il Consiglio, fermo restando il passaggio tra i ministri UE, che devono stabilire la posizione comune. La prossima tappa di questo percorso è fissata per il 6 novembre prossimo.
Per approfondire:
https://www.altroconsumo.it/organizzazione/media-e-press/comunicati/2018/microplastiche-in-cozze-gamberi-e-sale
e
La microplastica è servita: la ricerca del Salvagente sui soft drink
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