Che cos’è l’Economia Circolare?

CHE COS’È L’ECONOMIA CIRCOLARE? – Intervista a Emanuele Bompan

Emanuele Bompan è giornalista ambientale e geografo, autore del libro “Che cos’è l’economia circolare”, Edizioni Ambiente.

 

 –              La prima domanda è d’obbligo, dato il libro di cui sei autore: che cos’è l’economia circolare?

L’economia circolare, secondo la definizione che ne dà la Ellen MacArthur Foundation, «è un termine generico per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera».

L’economia circolare è dunque un modello, in costante evoluzione, di grande complessità, in cui tutte le attività, a partire dall’estrazione e dalla produzione, sono organizzate in modo che i rifiuti di qualcuno diventino risorse per qualcun’altro. Nell’economia lineare, invece, terminato il consumo termina anche il ciclo del prodotto, che diventa rifiuto, costringendo la catena economica a riprendere continuamente lo stesso schema: estrazione, produzione, consumo, smaltimento.

Il libro che ho scritto è un piccolo tentativo di formalizzare la teoria e la riflessione intorno a questo concetto. Ma la parte entusiasmante è che, essendo una riflessione nella sua infanzia, il mondo della ricerca e del business avrà tantissimo da aggiungere e verificare.

emanuele bompan - che cos'è l'economia circolare–              Quindi, come si può uscire dalla logica “produci, consuma, dismetti”?

Per uscire da questa logica il nuovo modello di economia deve soddisfare tre principi. Il primo è riscoprire i giacimenti di materia scartata come fonte di materia, limitando quanto possibile il processamento. Raccolta dei rifiuti, riciclo, gestione degli output produttivi, oggetti funzionanti buttati per cattivo management degli stock (anche domestici).

Il secondo principio è legato alla fine dello spreco d’uso del prodotto (unused value), prima ancora di essere scartato. Magazzini colmi di macchinari in attesa di essere dismessi, scatoloni in cantina pieni di vestiti con scarso valore affettivo, oggetti comprati e usati una volta all’anno. Un ammortamento inutile di asset il cui valore non è fatto fruttare. Guardate intorno a voi con nuovi occhi e vedrete materia che giace inerte. Come un peluche abbandonato nell’armadio dei ricordi dell’infanzia.

Il terzo principio è fermare la morte prematura della materia. Sebbene riciclo e riuso siano strategie fondamentali di recupero della materia, spesso condanniamo a morte – cioè alla dismissione – della materia perfettamente sana. E poco importa che sarà riciclata. Spesso a rompersi o guastarsi è solo una parte di un oggetto, mentre le restanti componenti rimangono perfettamente funzionanti. È come seppellire una persona che ha un braccio rotto. Riparare, aggiornare, fermare i processi più estremi della moda, rivedere le pratiche di obsolescenza programmata – queste sono le strategie auspicabili.

–              Una delle questioni rilevanti rispetto ai rifiuti è la plastica e l’inquinamento marino da plastica. Quanto è impattante?

Nel mondo esistono circa 700 tipi di plastiche e oggi in Italia, che è uno dei paesi più avanzati per questa tipologia di processo, se ne riciclano solo una decina. Il problema è che la plastica costituisce la larghissima parte del packaging dei prodotti di consumo, il tipo di rifiuto che più facilmente può essere disperso nell’ambiente.

Ad esso si vanno ad aggiungere due altri elementi che impattano l’ambiente marino: le reti da pesca in nylon (spesso perse sui fondali o buttate quando inutilizzabili) e le microplastiche (ad esempio la sfogliatura dei contenitori di plastica, le micro-perle nella cosmesi etc.).

–              La trasformazione dei modelli di produzione: sostituire la plastica delle bottigliette nelle mense con bevande alla spina è un esempio di come si può cambiare la linea di produzione, riducendo i rifiuti e, allo stesso tempo, mantenendo la qualità del risultato. Ci può fare altri esempi?

Più che altro si parla di trasformazione dei processi di consumo: in questo caso i processi di riduzione della materia sono infiniti. Dal prodotto come servizio, dove una stessa quantità di materia viene impiegata da più soggetti (car sharing, lavatrice di condominio, leasing, ecc) al consumo in bulk, dalla riparazione e upgrade dei prodotti al ritiro a fine vita.

–              A che punto siamo in Italia?

Dopo due anni di lavoro l’analisi su questo tema è tutto sommato positiva. Riciclo e riuso sono diffusi a molti livelli: dai consorzi alle piccole riciclerie, i repair shop sono in aumento, la filiera commerciale è attenta ai nuovi processi di prodotto come servizio. Nella bioeconomia ci sono tantissimi processi virtuosi, dai tessuti dagli scarti agricoli alle bioplastiche. Serve certo maggiore sostegno della politica e il supporto di grandi aziende. Siamo meglio di Germania e Stati Uniti. Ci batte l’Olanda, ma noi siamo un paese molto più grande e strategico degli amici Orange. Serve uno slancio di fiducia e un governo che ne faccia un caposaldo.